S.AMBROGIO di GRION

Avvisi parrocchiali

foglietto n. 16/2020

19 Aprile 2020 – II Domenica di Pasqua e della Divina Misericordia

PULIZIE Sospese

S. MESSE
E’ possibile ordinare le s. messe per i defunti telefonicamente. Le intenzioni delle messe previste per il sabato e la domenica, vengono celebrate durante la messa privata di domenica da don Federico.

II domenica di Pasqua e della Divina Misericordia
LA S. MESSA di Domenica sarà trasmessa in streaming alle ore 10.00 per le parrocchie di Silvelle e S. Ambrogio sul canale you tube Parrocchia Silvelle e S. Ambrogio di Grion.
Alle ore 15 adorazione eucaristica e recita della coroncina della Divina Misericordia per le parrocchie della collaborazione trasmessa in streaming sulla pagina facebook di Don Rolando Nigris.
Durante la settimana la S. Messa sarà trasmessa alle ore 18.30 dal lunedì al venerdì, sempre sullo stesso canale you tube.
Le chiese rimangono aperte per la preghiera personale, mantenendo le attenzioni igieniche; a S. Ambrogio e Silvelle troverete il foglietto degli avvisi.

CASSETTA PER LE INTENZIONI DI PREGHIERA
Raccoglie intenzioni di preghiera che verranno ricordate nella preghiera dell’adorazione eucaristica il secondo venerdì del mese.

Resistere alla nostalgia del sepolcro. Il «come prima» non ci serve
Da Avvenire, Mimmo Muolo martedì 14 aprile 2020

Maria di Magdala, dopo aver dato l’allarme sulla sparizione del corpo di Gesù, piange con lo sguardo ancora fisso sul sepolcro vuoto. Persino quando il Risorto in persona la interpella, ella lo scambia per il guardiano del giardino. Ed è solo quando sentendosi chiamata per nome si volge verso di Lui, invertendo di 180 gradi la direzione del suo sguardo rispetto al sepolcro, che lo riconosce. Abbiamo letto tutto questo nel brano del Vangelo di Giovanni immediatamente successivo a quello proclamato nella Messa del Giorno di Pasqua. E ieri il Papa, nell’omelia della Messa di Santa Marta, lo ha commentato al culmine dell’itinerario pasquale. «Il Vangelo di oggi – ha detto – ci presenta una scelta di tutti i giorni, un’opzione umana che regge da quel giorno: l’opzione tra la gioia, la speranza della resurrezione di Gesù, e la nostalgia del sepolcro». Perciò se sceglieremo il Risorto, «la nostra scommessa sarà per la vita, per la risurrezione dei popoli».Se invece rimarremo fissi a guardare il sepolcro, senza capire (e riconoscere) la Parola di resurrezione e la novità grande e urgente che ci sta davanti, l’opzione sarà «per il dio denaro: tornare al sepolcro della fame, della schiavitù, delle guerre, delle fabbriche delle armi, dei bambini senza educazione». Terribile bivio non solo per i singoli, ma per l’umanità intera, per i governi, per le istituzioni democratiche, per gli ambienti politici e scientifici e per chi controlla il mondo economico e finanziario. Oltre tutto, mai così attuale come in questi mesi di pandemia, mentre già si prepara quel “dopo” al quale il Papa ha fatto esplicito riferimento. Sembra anzi che egli abbia voluto inoculare queste parole nelle coscienze degli uomini, come se fossero un vaccino. Da un lato per fermare un’epidemia da sempre ben più pericolosa del coronavirus – quella dell’egoismo e dell’odio che vanno di pari passo con l’adorazione del dio denaro –; dall’altro per invece diffondere quello che domenica ha definito «il contagio della resurrezione che si trasmette da cuore a cuore, perché ogni cuore umano attende questa Buona Notizia».Il dopo Covid-19 dovrà essere perciò, negli auspici e nelle raccomandazioni del Pontefice, l’occasione per una rivoluzione copernicana che metta al centro di tutto l’uomo e non i soldi, i poveri e non il loro indegno sfruttamento, i popoli e non chi vuole opprimerli. «Nulla sarà come prima», è una delle frasi che si sentono ripetere più spesso in questo periodo. Perché non diventi un vuoto slogan, o peggio ancora, una strategia gattopardesca, Francesco in questi giorni di Pasqua ha tracciato una sorta di preziosa road map. «Preghiamo oggi per i governanti, gli scienziati, i politici, che hanno incominciato a studiare la via d’uscita, il dopo-pandemia: perché trovino la strada giusta, sempre in favore della gente, sempre in favore dei popoli», ha invocato ieri. E in questo contesto non possono passare in secondo piano la proposta di «una forma di retribuzione universale di base» affinché «nessun lavoratore sia senza diritti»; e il robusto richiamo all’Unione Europea – anche alla luce di quanto è accaduto di recente in ambito comunitario – che «ha di fronte a sé una sfida epocale, dalla quale dipenderà non solo il suo futuro, ma quello del mondo intero». In quest’ultimo caso, ad esempio, guardare al sepolcro significa continuare a dar libero corso a quelle «rivalità», all’«egoismo degli interessi particolari» e «alla tentazione di un ritorno al passato», che possono portare alla dissoluzione dell’Ue, ha avvertito il Pontefice. Mentre la scelta di resurrezione è «un’ulteriore prova di solidarietà, anche ricorrendo a soluzioni innovative ». Serve dunque una ‘inversione a U’ in tutti i campi. Anche nel vocabolario, ha lasciato intendere Francesco. Serve mettere al bando termini come indifferenza, egoismo, divisione, dimenticanza, commercio delle armi, guerre, aborto (in una parola il dio denaro) e promuovere invece la solidarietà. Non è una semplice coincidenza che proprio della necessità di un «contagio della solidarietà», abbia parlato venerdì scorso il nostro capo dello Stato, Sergio Mattarella, in un messaggio agli italiani, che evidentemente non vale (dal punto di vista dei contenuti) solo per noi. E colpisce che quella parola, ‘contagio’, sia risuonata a distanza di così poco tempo sia sulle sue labbra, sia su quelle del Papa. Contagio della resurrezione, cioè della speranza e della solidarietà. Perché ogni uomo diventi come Maria di Magdala, volgendosi di 180 gradi. Spalle al sepolcro, al denaro, alla morte e sguardo puntato verso la vita vera della gente vera, e primi fra tutti i poveri.

AVVISI DELLA COLLABORAZIONE

ORARIO SS. MESSE NELLE PARROCCHIE DELLA COLLABORAZIONE

La CARITAS  della Collaborazione Pastorale interparrocchiale –  CENTRO DI ASCOLTO DI LEVADA comunica che in considerazione della situazione di varie criticità che emergono a causa del particolare momento che stiamo vivendo, è attivo il seguente riferimento telefonico 3664917663  che può essere contattato tutti i giorni dalle 8,30 alla 12,30  e  dalle  14,30  alle 19,00 al fine di poter offrire i propri servizi in casi di particolare necessità.

COMMENTO AL VANGELO

Le ferite del Signore e la gioia di credere
di E. Rocchi

Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. […]I discepoli erano chiusi in casa per paura dei giudei. Hanno tradito, sono scappati, hanno ancora paura: che cosa di meno affidabile di quel gruppetto allo sbando? E tuttavia Gesù viene. Una comunità chiusa dove non si sta bene, porte e finestre sbarrate, dove manca l’aria e ci si sente allo stretto. E tuttavia Gesù viene. Non al di sopra, non ai margini, ma, dice il Vangelo, in mezzo a loro. E dice: Pace a voi. Non si tratta di un augurio o di una promessa, ma di una affermazione: la pace è, la pace qui. Pace che scende dentro di voi, che proviene da Dio. È pace sulle vostre paure, sui vostri sensi di colpa, sui sogni non raggiunti, sulle insoddisfazioni che scolorano i giorni. Qualcuno però va e viene da quella stanza, entra ed esce: i due di Emmaus, Tommaso il coraggioso. Gesù e Tommaso, loro due cercano. Si cercano. Otto giorni dopo, erano ancora lì tutti insieme. Gesù ritorna, nel più profondo rispetto: invece di rimproverarli, si mette a disposizione delle loro mani. Tommaso non si era accontentato delle parole degli altri dieci; non di un racconto aveva bisogno, ma di un incontro con il suo Signore. Che viene una prima volta ma poi ritorna, che invece di imporsi, si propone; invece di ritrarsi, si espone alle mani di Tommaso: Metti qui il tuo dito; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco. La risurrezione non ha richiuso i fori dei chiodi, non ha rimarginato le labbra delle ferite. Perché la morte di croce non è un semplice incidente da superare: quelle ferite sono la gloria di Dio, il punto più alto dell’amore, e allora resteranno eternamente aperte. Su quella carne l’amore ha scritto il suo racconto con l’alfabeto delle ferite, indelebili ormai come l’amore stesso. Il Vangelo non dice che Tommaso abbia davvero toccato, messo il dito nel foro. A lui è bastato quel Gesù che si propone, ancora una volta, un’ennesima volta, con questa umiltà, con questa fiducia, con questa libertà, che non si stanca di venire incontro, che non molla i suoi, neppure se loro l’hanno abbandonato. È il suo stile, è Lui, non ti puoi sbagliare: mio Signore e mio Dio. Perché mi hai veduto, hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto! Una beatitudine per noi che non vediamo, che cerchiamo a tentoni e facciamo fatica, che finalmente sento mia. Grande educatore, Gesù: forma i suoi alla libertà, a essere liberi dai segni esteriori, alla ricerca personale più che alla docilità. Beati i credenti! La fede è il rischio di essere felici. Una vita non certo più facile, ma più piena e vibrante. Ferita sì, ma luminosa. Così termina il Vangelo, così inizia il nostro discepolato: col rischio di essere felici, portando le nostre piaghe di luce.

(Letture: Atti 2,42–47; Salmo 117; 1 Pietro 1,3–9; Giovanni 20,19–31)