S.AMBROGIO di GRION

Avvisi parrocchiali

Ancora una domanda per incastrare Gesù, e ancora una volta una risposta che rilancia in avanti, che apre orizzonti, che tiene in cammino.

Qual è la cosa più importante da fare nelle vita? Per gli ebrei i precetti da seguire erano tanti 613, 365 divieti e 248 comandi positivi, cioè cose da fare. Uno può perdersi… forse anche noi siamo dispersi in tante preoccupazioni, o cose da fare e star dietro.

Ma Gesù con la sua risposta amare Dio e il prossimo come se stessi ci porta all’essenziale, a ciò che conta. Paragono questi due comandamenti come un guardarsi allo specchio, o farsi un selfie, vedo riflesso il mio volto, o di chi mi sta vicino e in essi il volto di Dio.

C’è un passo di S. Giovanni che dice: “chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede.” Quell’amare Dio che non vediamo passa per amare il fratello che vediamo, che incontriamo.

La buona notizia di oggi è che l’amare Dio dilata il cuore nel prendersi cura, fare spazio all’altro. Apriamo una piccola parentesi sul termine amare, oggi tanto usato e abusato e frainteso, detto con superficialità o avvolte vissuto solo sull’onda di una emozione.

Amare Dio con tutto il cuore, la tua anima e mente. Cioè l’amore porta a un coinvolgimento di tutto te stesso. Amare con il cuore significa coinvolgersi, sento mia la situazione contro l’indifferenza, un cuore che sa fare spazio. Amare con tutta la mente, cioè l’intelligenza dell’amore che sa comprendere, andare più in profondità, capire di cosa ha bisogno l’altro. Amare con tutta l’anima, le forze non mi tiro indietro di fronte alle difficoltà alle delusioni.

Ecco che allora amare Dio è mettersi in ascolto della sua parola che ci spinge a prenderci cura del prossimo. Amo Dio amando il prossimo. Questa è la via indicata da Gesù. Guardando Lui noi possiamo vedere come lui in ascolto del Padre si prendeva cura del prossimo.

Chiediamo a Gesù che ci insegni ad amare come lui. Fermiamoci e proviamo a guardare i volti di chi ci ha amato. E’ forte l’esperienza dell’amore perché provi che l’altro ti è vicino, l’altro c’è anche quando sei consapevole che sei scontroso, o puoi averlo ferito. Allora diamo un nome a questi volti che ci hanno amato perché sono il volto di Dio e ci hanno insegnato a prenderci cure di noi stessi.

Amare il prossimo come se stessi. Siamo sicuri che siamo capaci di amare noi stessi. Di avere quella cura che non è fine a sé stessa, ma che sa di accoglienza dei propri limiti, della propria condizione di creature bisognose di una relazione che sostenga, guarisce, che fa rifiorire la vita.

La prova che stiamo amando Dio è che abbiamo cura del prossimo come di noi stessi. Ecco che allora la nostra preghiera, il vivere l’eucaristia non è cosa distaccata dalla vita di tutti i giorni, dalle situazioni che viviamo, i volti che incontriamo. C’è il rischio che fede e vita tuttavia viaggino come due binari sempre paralleli… non è quello che ci ha mostrato Gesù.

La relazione con Dio ci tiene sempre aperto il cuore, la mente, ci dona sempre forze nuove per rendere concreto il suo amore, per farci carico di chi e bisognoso, debole, indifeso, vittima di ingiustizie, ci suscita la fantasia dei gesti d’amore.

Ogni tanto fermiamoci davanti  allo specchio o ad un selfie per gustare che siamo riflesso del volto di Dio da accogliere, rispettare amare in ogni volto che incontriamo a partire dal nostro.